Lo straordinario successo della recente edizione di Euroflora (23 aprile-8 maggio), ci stimola a parlare del fiore e delle sue radici mitologiche.
I Greci, amanti del bello, vivevano a stretto contatto con la natura e ammiravano la rigogliosa vegetazione che ricopriva la loro terra. Per questo attribuirono un significato divino alla terra stessa, piena di fecondità e gioiosa di ogni fioritura. La chiamarono Gea (o Gaia), divinità primigenia. A questo popolo furono molto care le piante, in quanto offrivano ombra, frescura, alimento. Accanto all’ulivo, sacro a Minerva, altri alberi ebbero fama e onori. A Giove era consacrata la quercia, simbolo di potenza, a Giunone il melograno, simbolo di fecondità, a Diòniso la vite.
A Venere era dedicata la rosa, emblema d’amore e, tra le piante verdi, il mirto.
A questo proposito pare che il nome della località “Multedo”, ai confini di Genova, sia derivato dal termine latino “myrtetum” (mirteto, ossia bosco sacro a Venere).
Il posto venne infatti scelto dai Romani per istituirvi una statio o posto di guarnigione per il controllo militare, politico e commerciale dell’entroterra e del mare.
La Via Romana, che ancor oggi corre parallela alla via provinciale, e il ritrovamento, nel luglio 1952, di anfore romane nel mare di Pegli testimoniano come Roma tenesse in considerazione Multedo per i suoi ideali di conquista. È logico pensare che in una località dove i soldati erano di casa fiorissero boschi consacrati a Venere, e quindi la pianta sacra alla dea della bellezza.
Ma la divinità per eccellenza amante dei boschi era Diana, dea della caccia, che inseguendo la sua cerva pare sia passata dalla Liguria e abbia dato origine alle due località di Diano e Cervo, originariamente ricchissime di vegetazione. Frequentatrici dei boschi erano pure le Ninfe, che hanno prestato il loro nome a una particolare specie di piante acquatiche, le ninfee. Lo stesso Pan, dio mezzo uomo e mezzo caprone, era solito percorrere le lande boscose al suono del suo strumento, scatenando un certo timore: di qui il termine panico ancor oggi in uso, un terrore incontrollato e spesso collettivo.
Cerere era la dea dei frutti, mentre la figlia Proserpina rappresentava la fioritura. Il suo compianto disperato di madre per il rapimento della fanciulla da parte di Plutone riuscì a intenerire il cuore di Giove, il quale stabilì che Proserpina stesse otto mesi con la madre sulla terra e trascorresse gli altri quattro nelle profondità dell’Ade.
Di creature femminili tramutate in piante è disseminata la mitologia. Citiamo per tutte le Eliadi, figlie di Elio (il Sole) che piansero a lungo il fratello Fetonte, precipitato nell’Eridano, l’attuale Po, e che dopo mesi furono trasformate dalla pietà di Giove in pioppi. Il mito più famoso che ci parla di una metamorfosi vegetale è quello di Dafne e Apollo, che ha ispirato molteplici capolavori artistici. Inseguita dal bellissimo dio, la fanciulla viene tramutata in alloro. Ma la mitologia ci presenta anche giovani uomini mutati in fiori. Tra questi Giacinto, splendido adolescente, appassionato amico di Apollo.
I due giocavano allegramente, esercitandosi nel lancio del disco sulle rive del fiume Eurota. Un giorno il disco di Apollo cadde sul capo di Giacinto, uccidendolo. Il dio s’inginocchiò singhiozzando sul corpo dell’amico e, per renderlo immortale, trasformò il suo sangue in un tenero fiore dal profumo intenso, che sboccia a ciocche ad ogni primavera.
E poi c’è il mito di Adone, altro bellissimo giovane, amato follemente da Venere.
Cacciatore infaticabile, un giorno, inseguendo un cinghiale, fu mortalmente ferito dalla belva, scatenatagli contro da Proserpina, anch’ella innamorata di lui e gelosa della dea dell’amore.
L’erba e le rose s’imporporarono del sangue dello sventurato. Venere, accorsa alle grida dell’amato, non poté che raccoglierne l’ultimo respiro e trasformarne il corpo esanime in anemone, la cui radice greca è “anemon” (vento), in quanto si tratta di un fiore che ama i luoghi ventosi. Nell’intento di consolare Venere, Giove consentì che ogni anno Adone uscisse dall’Erebo per quattro mesi, da trascorrere tutti con lei.
La morte precoce del giovinetto rappresenta l’inaridire della vegetazione primaverile sotto la sferza del sole estivo. Analoga sorte toccò a Narciso che, rapito dalla propria immagine riflessa nell’acqua, cercò di raggiungerla e fu tramutato in fiore.
Questo mito ha dato il nome a un disturbo della personalità ben conosciuto in campo psichiatrico: il narcisismo, proprio di chi è innamorato solo di se stesso.
Impotente ad amare, il malato riversa il suo interesse esclusivamente sul proprio corpo.
A proposito del mito di Narciso c’è chi sostiene che furono le Ninfe, adirate con lui, a chiedere a Nemesi, dea della giustizia, di punire il torto fatto alla loro compagna Eco, respinta dal giovinetto. Sul luogo della morte, Cupìdo fece sbocciare un fiorellino bianco, il narciso appunto, il cui termine deriva dal greco narkission (stordimento, forse per il profumo che dà alla testa). Analoga radice ha il termine ‘narcotico’. Questo mito, come altri, è narrato dal poeta latino Ovidio nelle Metamorfosi.
Piante e fiori erano presenti pure nella mitologia romana che, della greca, è una derivazione. E per entrambe i Campi Elisi, l’equivalente del nostro Paradiso, erano avvolti nell’incanto di un paesaggio primaverile, con prati in fiore e boschetti verdeggianti.
Un’ulteriore testimonianza di come il fiore fosse ritenuto fonte di ogni beatitudine.
Tra le divinità romane che alludono alla natura, citiamo Flora, dea dei fiori, e Pomona, protettrice dei frutti.
C’è inoltre un fiore, l’Iris, che porta il nome di una dèa, la bellissima Iride, dai variegati colori.
Essa, dopo la pioggia, disegna nel cielo la meravigliosa traccia che dà origine al fenomeno dell’arcobaleno.
I fiori hanno dunque fin dalle origini ispirato bellezza, fantasia, contemplazione. Sono in grado di dispensarci serenità e di offrire sosta dagli affanni della vita.
Per questo Euroflora trascende il suo significato naturale per entrare nel mito e nella storia.
Rita Nello Marchetti